Era presente anche il sindaco Marco Gallo, giovedì scorso, 2 giugno, alla cerimonia della Festa della Repubblica che si è tenuta a Cuneo e nel corso della quale il Prefetto Fabrizia Triolo ha consegnato la medaglia d’Onore alla memoria di Antonio Demaria, nato a Busca nel 1923 e deceduto nel 2010, arruolato a 19 anni nel battaglione Borgo San Dalmazzo del II Reggimento alpini, catturato dai tedeschi al Brennero e internato prima a Norimberga e poi Trier, dove arrivò a pesare 30 chili. La medaglia è stata ritirata dal figlio Aldo, uno dei cinque, insieme con Livia, Bruna, Alberto e Paolo.
“Onore alla memoria – ha detto il sindaco - ad un uomo coraggioso e onesto che pagò cara la sua scelta di libertà dal regime. Un grande buschese, cui tutti noi dobbiamo tanto, un eroe silenzioso”.
Il ricordo dei famigliari
Antonio aveva 19 anni quando venne chiamato alle armi nel secondo Reggimento Alpino Battaglione di Borgo San Dalmazzo: era il 20 settembre 1942. Grazie ai suoi studi ginnasiali, compiuti a Tortona alla scuola di Don Orione, ottenne l’incarico di radiomarconista che conservò fino alla cattura da parte dei tedeschi, avvenuta ad Appiano, sul Brennero, il giorno dopo l'armistizio dell’8 settembre 1943. Deportato in Germania fu internato con alcuni compagni a Norimberga e poi a Trier, in un campo di prigioniera prigionia. Invitato a far parte delle forze nazifasciste, rifiutò e così trascorse due anni in prigionia, in cui provò la fame e la costrizione del lavoro e la prolungata detenzione lo aveva ridotto a poco più di 30chili, praticamente il peso osseo. Von la liberazione dei campi tedeschi da parte degli americani, rimpatriò nel luglio del 1945 è finalmente ritornò nella sua Busca, in frazione San Barnaba a riabbracciare i suoi cari.
Antonio non amava parlare della guerra e se lo faceva, si faceva prendere dall'emotività, perché in lui riaffioravano ricordi troppo dolorosi e tragici. Raccontava, qualche volta, di aver assistito un caro compagno agonizzante e di averlo aiutato a recitare le preghiere prima della morte e di lui conservava una piccola foto nel suo portafoglio. Raccontava di aver scampato tante volte la morte e diceva che dal suo fucile era partito un solo colpo mortale: aveva ucciso una mucca. E diceva che una volta spinti dalla fame lui e i suoi compagni avevano mangiato la carne di un cavallo morto già da parecchi giorni. Antonio era un uomo socievole e amante delle relazioni umane: raggiunta l'età della pensione, dopo una vita di faticoso lavoro nei campi e in fabbrica, finché ha potuto andava ogni mattina in centro, dopo la messa, faceva le commissioni e si fermava a chiacchierare sotto i portici, poi ritornava a casa dalla moglie Lucia. Aveva conservato l'amore per le lettere e la passione per la lettura, che gli ha tenuto molta compagnia, soprattutto negli ultimi anni. Era un uomo di fede, è morto con dignità, come con dignità aveva vissuto.
“Onore alla memoria – ha detto il sindaco - ad un uomo coraggioso e onesto che pagò cara la sua scelta di libertà dal regime. Un grande buschese, cui tutti noi dobbiamo tanto, un eroe silenzioso”.
Il ricordo dei famigliari
Antonio aveva 19 anni quando venne chiamato alle armi nel secondo Reggimento Alpino Battaglione di Borgo San Dalmazzo: era il 20 settembre 1942. Grazie ai suoi studi ginnasiali, compiuti a Tortona alla scuola di Don Orione, ottenne l’incarico di radiomarconista che conservò fino alla cattura da parte dei tedeschi, avvenuta ad Appiano, sul Brennero, il giorno dopo l'armistizio dell’8 settembre 1943. Deportato in Germania fu internato con alcuni compagni a Norimberga e poi a Trier, in un campo di prigioniera prigionia. Invitato a far parte delle forze nazifasciste, rifiutò e così trascorse due anni in prigionia, in cui provò la fame e la costrizione del lavoro e la prolungata detenzione lo aveva ridotto a poco più di 30chili, praticamente il peso osseo. Von la liberazione dei campi tedeschi da parte degli americani, rimpatriò nel luglio del 1945 è finalmente ritornò nella sua Busca, in frazione San Barnaba a riabbracciare i suoi cari.
Antonio non amava parlare della guerra e se lo faceva, si faceva prendere dall'emotività, perché in lui riaffioravano ricordi troppo dolorosi e tragici. Raccontava, qualche volta, di aver assistito un caro compagno agonizzante e di averlo aiutato a recitare le preghiere prima della morte e di lui conservava una piccola foto nel suo portafoglio. Raccontava di aver scampato tante volte la morte e diceva che dal suo fucile era partito un solo colpo mortale: aveva ucciso una mucca. E diceva che una volta spinti dalla fame lui e i suoi compagni avevano mangiato la carne di un cavallo morto già da parecchi giorni. Antonio era un uomo socievole e amante delle relazioni umane: raggiunta l'età della pensione, dopo una vita di faticoso lavoro nei campi e in fabbrica, finché ha potuto andava ogni mattina in centro, dopo la messa, faceva le commissioni e si fermava a chiacchierare sotto i portici, poi ritornava a casa dalla moglie Lucia. Aveva conservato l'amore per le lettere e la passione per la lettura, che gli ha tenuto molta compagnia, soprattutto negli ultimi anni. Era un uomo di fede, è morto con dignità, come con dignità aveva vissuto.