Domenica 5 giugno alle ore 17 nelle Serre del Castello del Roccolo, Marina Bassani interpreta le “Rime” e alcune pagine della “Vita scritta da esso” di Vittorio Alfieri. L’iniziativa, dal titolo “Tacito orror di solitaria selva”, si inserisce tra gli appuntamenti della quinta edizione de “Il Roccolo della Poesia.
“Leggere le ‘Rime’ di Alfieri e inanellarne i tempi attraverso pagine tratte dalla ‘Vita scritta da esso’ e dall’epistolario – spiega Giovanni Tesio, curatore della rassegna -, è l’omaggio che il Roccolo intende fare al centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Dare voce a uno dei suoi più risentiti e importanti annunciatori di libertà, quale Alfieri fu, è un buon modo sia di offrire uno spaccato d’epoca, sia di rivelare un poeta di stampo classico, ma di romantico o preromantico sentire”.
La “Vita scritta da esso”
costituisce uno dei documenti essenziali per ricostruire i passaggi della biografia di Alfieri, quantunque corroborabile e altrimenti documentabile soprattutto attraverso carte ed epistolario. Opera della tarda maturità, la “Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso” fu stesa a Parigi dal 3 aprile al 27 maggio 1790; essa si arresta al capitolo decimonono della quarta delle “epoche” in cui è scandita. Erano tempi in cui, nonostante le prime avvisaglie del “disinganno”, il fervore rivoluzionario che animava l’Alfieri poteva ancora sommuoverne le energie. Fu riscritta poi, nella redazione definitiva, in anni in cui ormai l’atteggiamento dello scrittore, volto a un deciso rifiuto dei tempi, non poteva più consentire un così maturo abbandono. La seconda parte, iniziata nel maggio 1803, restò incompiuta.
Le “Rime”
sono costituite da 351 componimenti, divisi o divisibili in canzoni, stanze, capitoli, epigrammi, ma nella stragrande maggioranza sonetti. Una prima parte (componimenti scritti dal 1775 al 1789), fu pubblicata dallo stesso Alfieri nel 1789 con il titolo “Rime di Vittorio Alfieri da Asti” e una seconda parte (componimenti scritti fra il 1789 e il 1798), fu pubblicata dopo la morte dello scrittore nel 1804. Le due parti corrispondono a due diversi tempi della vita di Alfieri: il primo più impetuoso e irrequieto, contrassegnato dall’eccezionale vocazione tragica e percorso da un magnanimo ideale antitirannico e libertario; il secondo più deluso e ripiegato, più ritirato e, per così dire, sopravvissuto. Il che non significa che i componimenti della seconda parte siano da meno dei primi. Più composti e pensati, meno legati all’occasione reale che li detta, qualche critico pensa addirittura che l’Alfieri vi abbia trovato l’accento più vero per la sua lirica. E tuttavia la cifra caratteristica dell’esperienza poetica alfieriana è soprattutto nelle disparità della prima parte, nelle asperità spesso prosastiche, in quel tanto di urgente e di incalzante che trova sbocco nei confronti iperbolici, nei paragoni eroicizzanti, nelle metafore grandiose.
Vittorio Alfieri
La biografia dell’Alfieri, che egli stesso ci narra nella “Vita scritta da esso”, ha già le inquietudini e gli sdegni che conosceremo nell’età della tempesta romantica. Nasce ad Asti il 16 gennaio 1749 dal nobile Antonio Alfieri di Cortemilia e da Monica Maillard de Tournon. Dopo i primi studi avviati sotto un don Ivaldi, “buon prete” ma “ignorantuccio”, viene avviato all’Accademia militare di Torino e lì rimane per otto anni, dal 1758 al 1766, uscendone porta-insegna del Reggimento Provinciale di Asti. Sono anni di studi “pedanteschi, e mal fatti”, di “non-studi” come dirà a distanza di anni, accentuandone alquanto l’inconsistenza.
In realtà legge bene o male Cornelio Nipote e Virgilio, il suo “Ariostino”, il Metastasio, il Goldoni e alcuni romanzi francesi, fra cui soprattutto il “Gil Blas” del Lesage, capolavoro della nuova moda picaresca. Nel 1766 compie il suo primo viaggio in Italia: è a Milano, Firenze, Roma, Bologna, Venezia, Padova, Genova, Marsiglia, primo luogo di espatrio, che prelude all’importate viaggio parigino. Nel 1767 è dunque a Parigi; nel 1768 in Olanda, dove vive il suo “primo intoppo amoroso” con Cristina Emerentia Leiwe van Aduard, “una gentil signorina, sposa da un anno, piena di grazie naturali, di modesta bellezza, e di una soave ingenuità”.
Nel 1769 tocca Vienna, Praga, Dresda, Berlino, Copenaghen; nel 1770 è a Stoccolma, in Finlandia, a Pietroburgo, di nuovo a Berlino, in Olanda e a Londra, dove s’innamora di Penelope Pitt e dà vita al suo “secondo fierissimo intoppo amoroso” finito in un “disinganno orribile”; nel 1771 è ancora in Olanda e quindi in Francia, Spagna, Portogallo dove, a Lisbona, conosce l’abate Tomaso Valperga di Caluso a cui rimarrà legato per la vita. S
’intende già da queste eventi l’uomo che dal Settecento guarda al futuro: gli amori più appassionati – ancorché incostanti – che libertini; il viaggio come bisogno interiore, come ansia di conoscere uomini e luoghi, di trasformare la natura in paesaggio mentale e morale. Di questo suo gran viaggiare a fretta in ogni parte d’Europa restano alcune indelebili impressioni di paese (come quelle dei ghiacci svedesi e dei “deserti” di Spagna), oppure alcune dichiarazioni di pregiudiziale durezza antitirannica come quelle espresse sulla Prussia di Federico II e sulla Russia di Caterina II: passi che prefigurano l’immagine del poeta-vate e libertario che piacerà ai Romantici e al Risorgimento.
Domenica al Roccolo Marina Bassani legge Vittorio Alfieri
Dettagli della notizia
Nel pomeriggio omaggio al centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia
Data:
30 Maggio 2011
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