Martedì prossimo, per il Giorno della Memoria, la ricorrenza mondiale celebrata il 27 gennaio in commemorazione delle vittime dell'Olocausto, alle ore 10 nella sala del Consiglio comunale, il sindaco, Marco Gallo, l’Amministrazione e l’Anpi cittadina, presieduta da Mario Berardo, ospiteranno il reduce deportato civile buschese nel campo di concentramento di Flossenbürg Giovanni Arnaudo per un momento di riflessione cui sono invitati tutti i cittadini.
21 anni
A 21 anni, il 23 marzo del 1944, fu catturato, da civile, a Busca durante un rastrellamento dei tedeschi a scopo di rappresaglia, tenuto in ostaggio a Busca e a Cuneo per alcuni giorni poi mandato in Germania come prigioniero, poiché giovane e forte, destinato al campo di Flossenbürg in Bavaria, uno dei circa 20.000 campi di concentramento e di sterminio costruiti dal 1933 al 1945 per lo sterminio degli ebrei e dei prigionieri di guerra. Chiamati dai tedeschi “campi di lavoro” (arbeitslager) in realtà in essi proprio il lavoro era usato come terribile strumento di morte per spossatezza, a causa della sotto-alimentazione.
“Chi non poteva più lavorare veniva ucciso subito” dice Giovanni, riuscendo a stento a dominare la pena e la rabbia che gli sale ancora dal cuore, omettendo però di raccontare le peggiori atrocità, che pure si conoscono e che certamente anche lui ha visto e subìto e per le quali raramente nella sua vita è riuscito ancora a trovare le parole.
La fortuna di fare il fabbro
“Sono state le patate a salvarmi, perché ho avuto la fortuna di potermele cuocere”: quando riusciva a procurarsele, se le faceva cuocere di nascosto alla sua fiamma da fabbro, lavoro in cui era impiegato per 12 ore al giorno. “Se no, c’era solo una brodaglia che non si poteva chiamare minestra. Sì, c’erano anche molti altri italiani fra i prigionieri, ma i più erano civili polacchi e soldati russi”.
“Quando vennero a liberarci – il 23 aprile del ’45 - ognuno doveva fare per sé, non è che ci hanno chiamato noi italiani e chi hanno organizzato il ritorno… non so nemmeno come ho fatto, dopo un bel po’ di spostamenti con ogni mezzo e trovarmi su un treno diretto a Milano”.
A Busca arrivò il 12 giugno ‘45 e pesava 38 chili. La guarigione del corpo non fu facile né breve. Quella dell’anima ancora non c’è.
3.431 italiani
Nel lager di Flossenbürg, e dipendenze, persero la vita 3.431 italiani, tra deportati “politici” e soldati fatti prigionieri. Prima della fine della guerra, i prigionieri risultavano 45.813. Al momento della liberazione nel campo principale da parte degli americani si trovavano appena 1.500 prigionieri. (fonte wikipedia)
La tesina del nipote
Uno dei nipoti di Giovanni, Igor, ha dedicato la sua tesina di diploma, due anni fa, alla storia della Shoah e dei lager nazisti, forte della testimonianza diretta che ha ricevuto in casa: “Sono vicende - scrive nel suo lavoro - difficili da far credere alle persone che non le hanno viste… tanto che a volte (il nonno) non trova le parole per descrivere ciò che è successo o addirittura non lo racconta per paura di impressionarci… ma il passaggio di testimone tra vecchie e nuove generazioni è fondamentale per costruire una società migliore. Ricordiamo Primo Levi: È avvenuto quindi può / accadere di nuovo / questo è il nocciolo/ di quanto abbiamo da dire”.