Un’attrattiva unica, un’emozione, una scoperta: ecco cosa sono le “grotte a cielo aperto”, i canyon dell’alabastro rosa di Busca, uno dei tesori della nostra collina, che il Comune, per iniziativa dell’assessore Ezio Donadio, sta avviando ad una riscoperta scientifica e turistica.
La seconda visita guidata ai canyon, dopo quella dell’anno scorso, organizzata ieri dall’assessore comunale alla Collina, Ezio Donadio, con la collaborazione di Emanuele Costa e Alessandra Marengo, professore e ricercatrice del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino, ai canyon ha avuto in breve tempo il tutto esaurito di iscrizioni nei sei turni giornalieri a “numero chiuso” di 20 persone per volta e con trasporto gratuito con bus navetta. Molte in più le richiese di partecipare, giunte anche da diverse città della provincia e della regione, alle quali, per il momento, non si è potuto dare soddisfazione per il carattere sperimentale di questa prima uscita e per le non facili procedure di messa in sicurezza dei partecipanti che devono muoversi su un luogo privato e non ancora attrezzato alle visite individuali.
“Un’latra giornata – dice l’assessore Donadio – che ci stimola a continuare nel nostro proposito e a piccoli passi cercheremo di perseguire il nostro progetto di lancio complessivo della collina e della città dal punto di vista della promozione turistica culturale e ambientale. Per farlo stiamo mettendo a frutto tutte le risorse che abbiamo adisposizione, a partire dal volontariato. A questo proposito, voglio ringraziare in particolare il volontari della protezione civile comunale, che lavorano da sempre alla pulizia e alla messa in sicurezza dei percorsi collinari e dei parchi cittadini e i professori Costa e Marengo, che hanno fatto da guida con grande efficacia”.
Antichissime
Le ex cave dell’alabastro rosa di Busca, hanno spiegato gli esperti, sono antichissime grotte, formatesi almeno 350.000 anni fa, a tanto si ferma per ora la datazione in base alle ricerche fin qui concesse dai fondi a disposizione e venute in parte a cielo aperto in seguito all’erosione della collina sovrastante.
Si tratta di cinque gole di lunghezza variabile, fino a oltre un centinaio di metri, due delle quali sono state visitate ieri, profonde anche una trentina, che si trovano sulla collina dell’Eremo, versante orientale, a quota 650 metri, particolarmente suggestive, dai variegati colori che muovono dal rosa scuro al verde muschio, anche a seconda di come vi incide la luce nelle varie ore del giorno.
L’alabastro di Busca è una roccia calcarea, composta essenzialmente da calcite che si è deposta sotto forma di stalattiti, stalagmiti e altre concrezioni che, se sottoposte a tecniche sofisticate, permettono di determinare il clima presente nell’area a partire da glaciazioni molto più antiche dell’ultima, alla quale risale per esempio l’unica altra area sede di ricerca scientifica di paleoclima del Piemonte, Rio Martino di Crissolo, dove i sedimenti fin qui analizzati si fermerebbero a 10.000 anni fa.
Portato ad esempio
Non per nulla l’esempio di Busca è stato portato all’attenzione di vari studiosi in occasione di almeno quattro recenti convegni nazionali ed internazionali di geologia, mineralogia e conservazione dei beni culturali e naturalistici.
Dal punto di vista storico, ed in particolare della storia dell’arte, inoltre, l’impiego dell’Alabastro di Busca è stato diffuso in chiese e case nobiliari dalla metà del Settecento fino alla metà del secolo scorso in tutto il Piemonte ed anche in Francia in tante opere di pregio. La più recente e curiosa presenza dell’Alabastro di Busca è stata rinvenuta nella composizione di un caminetto attribuito alla casa di Napoleone ad Ajaccio. Quanto fosse ritenuto prezioso in quelle epoche è testimoniato anche dal fatto che in diverse chiese esso venisse imitato con dipinti, come nella parrocchia Maria Vergine Assunta.
La seconda visita guidata ai canyon, dopo quella dell’anno scorso, organizzata ieri dall’assessore comunale alla Collina, Ezio Donadio, con la collaborazione di Emanuele Costa e Alessandra Marengo, professore e ricercatrice del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino, ai canyon ha avuto in breve tempo il tutto esaurito di iscrizioni nei sei turni giornalieri a “numero chiuso” di 20 persone per volta e con trasporto gratuito con bus navetta. Molte in più le richiese di partecipare, giunte anche da diverse città della provincia e della regione, alle quali, per il momento, non si è potuto dare soddisfazione per il carattere sperimentale di questa prima uscita e per le non facili procedure di messa in sicurezza dei partecipanti che devono muoversi su un luogo privato e non ancora attrezzato alle visite individuali.
“Un’latra giornata – dice l’assessore Donadio – che ci stimola a continuare nel nostro proposito e a piccoli passi cercheremo di perseguire il nostro progetto di lancio complessivo della collina e della città dal punto di vista della promozione turistica culturale e ambientale. Per farlo stiamo mettendo a frutto tutte le risorse che abbiamo adisposizione, a partire dal volontariato. A questo proposito, voglio ringraziare in particolare il volontari della protezione civile comunale, che lavorano da sempre alla pulizia e alla messa in sicurezza dei percorsi collinari e dei parchi cittadini e i professori Costa e Marengo, che hanno fatto da guida con grande efficacia”.
Antichissime
Le ex cave dell’alabastro rosa di Busca, hanno spiegato gli esperti, sono antichissime grotte, formatesi almeno 350.000 anni fa, a tanto si ferma per ora la datazione in base alle ricerche fin qui concesse dai fondi a disposizione e venute in parte a cielo aperto in seguito all’erosione della collina sovrastante.
Si tratta di cinque gole di lunghezza variabile, fino a oltre un centinaio di metri, due delle quali sono state visitate ieri, profonde anche una trentina, che si trovano sulla collina dell’Eremo, versante orientale, a quota 650 metri, particolarmente suggestive, dai variegati colori che muovono dal rosa scuro al verde muschio, anche a seconda di come vi incide la luce nelle varie ore del giorno.
L’alabastro di Busca è una roccia calcarea, composta essenzialmente da calcite che si è deposta sotto forma di stalattiti, stalagmiti e altre concrezioni che, se sottoposte a tecniche sofisticate, permettono di determinare il clima presente nell’area a partire da glaciazioni molto più antiche dell’ultima, alla quale risale per esempio l’unica altra area sede di ricerca scientifica di paleoclima del Piemonte, Rio Martino di Crissolo, dove i sedimenti fin qui analizzati si fermerebbero a 10.000 anni fa.
Portato ad esempio
Non per nulla l’esempio di Busca è stato portato all’attenzione di vari studiosi in occasione di almeno quattro recenti convegni nazionali ed internazionali di geologia, mineralogia e conservazione dei beni culturali e naturalistici.
Dal punto di vista storico, ed in particolare della storia dell’arte, inoltre, l’impiego dell’Alabastro di Busca è stato diffuso in chiese e case nobiliari dalla metà del Settecento fino alla metà del secolo scorso in tutto il Piemonte ed anche in Francia in tante opere di pregio. La più recente e curiosa presenza dell’Alabastro di Busca è stata rinvenuta nella composizione di un caminetto attribuito alla casa di Napoleone ad Ajaccio. Quanto fosse ritenuto prezioso in quelle epoche è testimoniato anche dal fatto che in diverse chiese esso venisse imitato con dipinti, come nella parrocchia Maria Vergine Assunta.