La ritirata dal Don dell'Alpino Giuseppe Fornero

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In un libro il raccondo di dieci soldati piemontesi che sono ritornati dalla Campagna di Russia

Data:

06 Novembre 2007

Tempo di lettura:

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Giuseppe Fornero nella casa del figlio Roberto con la nuora e due nipoti
Giuseppe Fornero nella casa del figlio Roberto con la nuora e due nipoti
“Ero partito il 10 o l’11 marzo del Quaranta … e poi… Ah, a me è andata bene, sono stato dei più fortunati, ma sennò. Quelli che erano con me, della mia batteria, sono tornati solo in 29, su trecento che eravano”.

Giuseppe Fornero, classe 1920, reduce della Campagna di Albania, dal fronte francese e, infine, dalla folle Campagna di Russia, faceva parte del Gruppo di artiglieria Alpina Mondovì della divisione Cuneense.

Adesso, il giorno dopo aver ricevuto anche dai suoi concittadini e dall’associazione Combattenti e reduci di Busca un targa ricordo, è seduto in casa del figlio Roberto, in frazione San Martino, con la nuora e i nipoti. In mano ha un libro fresco di stampa, dalla copertina rossa, e lì sopra c’è scritta la storia della sua personale ritirata dalla Russia.

Nel febbraio dello scorso anno Nicola Teresio Ballario, autore di “Turneruma encù en Piemunt?” (edizioni Primalpe – 20 euro) era seduto a questo tavolo per farsela raccontare per filo e per segno, quella sua Ritirata.

Il volume, frutto della tesi di laurea dell’autore, 41 anni di Villafalletto, sui caratteri epici della Ritirata di Russia, raccoglie le storie di altri nove soldati ritornati dal Don. Sarà presentato a Savigliano, nel liceo Arimondi, il prossimo 17 novembre, alle ore 10, con la partecipazione del professor Sergio Soave e a Cuneo il 14 dicembre, nella libreria Janus, in piazza Europa, alle ore 21, con la partecipazione di Livio Berardo, presidente dell’Istituto storico di Cuneo della Resistenza.

Il signor Fornero racconta volentieri, con immancabile commozione, la sua storia di soldato: lo ha fatto tutte le volte che glielo hanno chiesto gli amici, i parenti o gli insegnanti e i compagni di scuola dei suoi nipoti.

A distanza di tanti anni il dolore di aver lasciato laggiù “tanti compagni che per me erano come fratelli” non si è certo affievolito; il suo raccontare è asciutto e preciso, lucido e particolareggiato, ma gli occhi si riempiono ancora di lacrime quando arriva in quel punto in cui, finalmente, sale sul treno che lo riporterà a casa: “quando parte, mi metto a piangere. ‘Alpino perché piangi?’ mi chiede un bersagliere. ‘Piango pensando ai compagni con i quali ho passato tre anni, tre fronti e tanti pericoli e ora non ci sono più’ ‘Alpino, pensa per te’ mi risponde quello…”.

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